[Fiction] Pantani, un eroe tragico

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ELIPIOVEX
00mercoledì 31 gennaio 2007 15:43
Articolo e foto tratti da Panorama.it

Le biciclette usate da lui. I suoi gregari. Persino il chiosco di piadine della madre. Quasi tutto autentico, salvo l'assoluta verità negata dal regista Bonivento. Partigiano per passione





Lo storico campione Felice Gimondi, che interpreta se stesso nella fiction: premia Pantani al Giro di Francia. Difficile distinguere il fotogramma dalla foto reale (che è quella a destra)





«Perché vai più forte in salita anche quando non serve?» gli domanda l'amico. «Per abbreviare la mia agonia» risponde lui non sapendo o forse sapendo che quella è la sua epigrafe.

È già vecchio di tre anni lo scandalo del ragazzo con le orecchie a sventola trovato morto, sfinito a morte, dentro un lenzuolo e un paio di jeans in una camera d'albergo di Rimini.
La fiction prodotta da Bibi Ballandi, regia di Claudio Bonivento, in onda lunedì 5 febbraio su Raiuno, 100 minuti tratti dalla biografia Pantani, un eroe tragico di Davide Cassani, Pier Bergonzi e Ivan Zazzaroni (Mondadori), ti costringe a ripensarlo quello scandalo, lontani dall'orgia del pettegolezzo, le centinaia d'imbonitori, comici, soubrette, tutti condannati allora a straparlare di ciò che per definizione non sanno, il dolore, la solitudine, il male oscuro, a scomodare Luigi Tenco e Cesare Pavese.

Quando era invece la storia di un ragazzo semplice, che di lavoro scalava e spaccava montagne, e tutti gli dicevano che era un gigante, non importa se vestito di giallo o di rosa; importa che lui ci credeva, come ha creduto al dolore che lo ha ucciso giorno dopo giorno.
Perché la non detta grandiosità di Marco Pantani, il suo Izoard, la sua immane salita, che si ritrova a scalare solo, nudo e calvo, strano pirata senza benda e senza bandana, è nel suo anacronismo.
Un ragazzo che si fa carico di una colpa che non sente e la trasforma in un castigo definitivo, più feroce di qualunque castigo divino o terreno. L'impresa d'altri tempi di una disperazione inconsolabile e insostenibile, in un mondo dove i colpevoli di etica infranta pontificano in tv.



Una scena di Pantani, un eroe tragico, fiction in onda su Raiuno il 5 febbraio, interpretata da Rolando Ravello, quasi il sosia del ciclista romagnolo


Giusto partire dalla scena madre. Il giorno in cui Pantani ha cominciato a morire. Quel 5 giugno del 1999. La salita di Madonna di Campiglio, la voce di Adriano Dezan, la Voce, quella maglia rosa a due giorni dalla vittoria del Giro, la seconda consecutiva, i vampiri dell'antidoping che bussano alla porta.
«Quella norma ipocrita del 50 per cento sull'ematocrito, per cui il messaggio era fatevi pure di epo, purché non superiate quella soglia. Pantani voleva solo combattere alla pari degli altri» dice Bonivento, che ammette la sua faziosità, tutto schierato dalla parte del Pirata, del ragazzo umiliato e offeso.
«Pantani aveva all'epoca sette procedimenti penali, contro i quattro di Totò Riina. La conferma che il sistema protegge certi campioni, altri no. Basti pensare al lavacro per gli eroi discussi del calcio, dopo la vittoria mondiale».

«Mi sono sempre rialzato, ma stavolta non ce la farò». Marco spacca un vetro della finestra invece dello specchio, ma solo perché su qualunque set la scaramanzia conta. «Sembra che mi stiano arrestando. Vogliono far credere che il Pirata è un pezzo di merda» dice Pantani mentre si riguarda la mattina dopo in tv ed è già un'anima in pena.
Fra i meriti di Bonivento, straripante viveur lanciato da sempre in ogni direzione, produttore di film campioni d'incasso come Mery per sempre e i primi Vanzina, dal Diego Abatantuono primordiale a Sapore di mare, regista dell'ultimo Grande Torino, con cui ha vinto ogni premio televisivo, la scelta degli attori. Rolando Ravello, scoperto da Ettore Scola, una rivelazione nella parte di Pantani.
Un calvo naturale che non esita a violentarsi correndo per tre mesi 100 chilometri al giorno per un risultato mimetico eccezionale (scommettete forte e vincete: quello che scatta sull'Alpe d'Huez è lui o l'originale?) ma capace, questo conta, di somigliare al mondo interiore di Pantani.

E poi Omero Antonutti, Ivano Marescotti, la sorprendente Nicoletta Romanoff nella parte di Cristina, la fidanzatina danese, e Gianfelice, il figlio di Giacinto Facchetti, amico del cuore e gregario di Pantani, e non puoi non pensare a quanto il padre sarebbe stato orgoglioso di lui.
Cura maniacale del dettaglio. Sono vere le biciclette di Pantani, vera la sua Harley Davidson, vero il chiosco di piadine della madre Tonina, autentici i gregari, le feste con gli amici travestiti da pirati, il rito di radersi il cranio con il rasoio. Impressiona Marco Rossi, il Pantani bambino, uguale alle foto dell'originale.
È nonno Sotero che lo spinge al ciclismo: «Fa' la cosa che ti viene più facile». Diventerà il suo mantra, nel bene e nel male.
Veniale cedimento al pubblico di Raiuno l'enfatizzazione della storia con Cristina, un amore di luci e ombre, ma qui si vedono solo luci, e quando lei sparisce risulta una crudeltà improvvisa. Il colpo di grazia per Marco. «Non te ne andare... Ce la farò, vedrai, batterò Armstrong». E lei: «Chi se ne frega di Armstrong... io ho paura». Pantani risalirà in bici, batterà Lance Armstrong sul Ventoux, l'ultima illusione di cancellare pedalando i suoi incubi.



In queste pagine sono state abbinate le immagini di Marco Pantani con quelle del lavoro tv. Il ciclista è morto il 14 febbraio 2004 per una overdose di cocaina.


Non è facile dare corpo a un incubo. Sono bravi Bonivento e Ravello. E credibili. Al primo adescamento dell'amico losco Pantani non cede. «I miei problemi li ho avuti e li ho risolti da solo... Tutte quelle cose, la fica, la fama, le vittorie le ho già... Va' a cacare». L'intervista a Gianni Minà, il vero Minà, in cui affiora l'ipotesi del complotto cinico e baro («Era l'anno delle prime scommesse sul ciclismo»). E poi il pozzo. Non ha fondo il pozzo di Pantani. La mania di persecuzione, smette di pedalare, di mangiare, di amare. Non risponde più agli amici.

«Quella sostanza», così la chiamava, lo faceva sentire invulnerabile, capace di dominare il mondo ora che gli era ostile. «Sono stato umiliato» ripete all'amico che lo scova nel bagno di una camera del Grand Hotel a Rimini. «Mi hanno lasciato solo come un cane», e splendida più che mai risulta Gli angeli di Vasco.
Farà discutere la scelta di Bonivento di non mostrare gli ultimi giorni, quelli dell'abbrutimento fisico e morale.
Stare dalla parte di Pantani significa anche raccontarlo nei giorni in cui il castigo che si è inflitto diventa abisso e testamento. Le urla sconnesse scritte sul passaporto.
(Rosy)
00venerdì 2 febbraio 2007 17:03
CESENATICO – Fa già discutere la fiction dedicata a Marco Pantani che andrà in onda lunedì sera 5 febbraio alle 21 su Rai Uno. Il film, diretto da Claudio Bonivento e con Rolando Ravello nei panni del campione di Cesenatico, racconta soprattutto il periodo di depressione seguito all'esame sui valori del sangue a Madonna di Campiglio del 5 giugno del 1999: una data che ha segnato l’inizione della fine per il campione sportivo più amato dai tempi di Coppi e Bartali.



Stando a quanto riferito da chi ha assistito in anteprima al ‘tv movie’, la conclusione che se ne trae è quella che Pantani sia finito in disgrazia per un complotto, puntando il dito soprattutto nei confronti dei mass media, colpevoli di averlo subito abbandonato e martoriato dopo averne creato un’autentica divinità dell’era moderna.



Tuttavia Claudio Bonivento ammette che anche altre sono le ipotesi: “quella del giro di scommesse è una delle componenti che hanno forse indotto la sua fine sportiva. Lui stesso, dopo aver pensato ad un complotto contro di lui, aveva abbandonato questa ipotesi”.



Stefano Garzelli, che grazie a Pantani ha vinto un Giro d’Italia, ha dichiarato che “forse è un po' presto per una fiction su di lui: ma era un personaggio così famoso e mediatico che se può servire a non dimenticarlo, va bene lo stesso...".



“Tutto quello che gira intorno a Pantani io lo vedo sempre con grande distacco – ha aggiunto Garzelli -, perché da un lato non sai mai come vengono raccontate, dall'altro a me che possono dire di nuovo? Io le ho vissute. Le sue salite, le imprese, persino le cadute: io ero lì con lui, che mi può dare di più vederle in televisione fatte da attori? Il ricordo più forte per me forse è lo Zoncolan, la salita in Friuli al Giro, quando duellammo io e lui”.

(Rosy)
00venerdì 2 febbraio 2007 17:04
Michela, lunedì che si guarda? Pantani o nati ieri? [SM=x988247]
(Rosy)
00venerdì 2 febbraio 2007 20:37
Che emozione essere la donna del Pirata
«Pur amando intensamente una persona, non avrei mai permesso che questa trascinasse me e la nostra storia in un tunnel senza uscita. Anche se con dolore, capisco la scelta di Christina che, dopo tormenti e ferite, decise di lasciare il grande ciclista prima che questi precipitasse nel baratro della morte». A parlare è Nicoletta Romanoff, l'attrice che nel film tv «Il Pirata. Marco Pantani», in onda su Raiuno il 5 febbraio, interpreta la parte della fidanzata del campione morto tragicamente il 14 febbraio di tre anni fa
1/2/2007

«Al suo posto avrei fatto la stessa cosa. Pur amando profondamente e intensamente una persona, non avrei mai permesso che questa trascinasse me e la nostra storia in un gorgo, in un tunnel senza uscita. Anche se con dolore, capisco la scelta di Christina, la fidanzata di Marco Pantani che, dopo tormenti e ferite, decise di lasciare il grande campione di ciclismo prima che questi precipitasse nel baratro della morte».
A parlare è Nicoletta Romanoff, l'attrice di origine russa (è discendente dell'ultimo zar) che nel film tv «Il Pirata. Marco Pantani» in onda su Raiuno il 5 febbraio interpreta la parte della fidanzata storica del campione. La fidanzata dell'uomo che, dopo aver fatto sognare l'Italia intera quando correva in bicicletta, è morto, terribilmente solo, in un residence della Riviera Romagnola a seguito di una intossicazione acuta di cocaina, il 14 febbraio di tre anni fa.
«Christina» prosegue la Romanoff «è una donna forte, discreta, che ha vissuto i successi del suo uomo rimanendo sempre in disparte, ma accogliendolo a ogni suo ritorno. Per certi versi mi somiglia. Ci accomuna la riservatezza e la forza d'animo».
Vi siete mai incontrate?
«No. Per quanto ne so, dopo la tragedia, di lei non si è più sentito parlare. E io non avrei voluto incontrarla. La ferita per la perdita di Marco è ovviamente ancora aperta. Me ne sono resa conto quando ero sul set, a Cesenatico, dove ho invece incontrato la mamma di Pantani, la signora Tonina. Una donna energica, grande lavoratrice, una mamma apprensiva, distrutta dal dolore. E, visto che sono madre di due bambini, ho cercato di comprendere la sua enorme sofferenza».
Come è stato lavorare con Rolando Ravello, l'attore che interpreta Pantani?
«Rolando è un vero professionista. Meticoloso fino all'esasperazione. Per immedesimarsi totalmente nella parte passava ore e ore ad ascoltare nastri sui quali era registrata la voce di Pantani. Incredibile. Anche se non ci conoscevamo, sul set, grazie ai nostri figli, abbiamo legato molto. Rolando infatti ha una bimba di 8 anni. A Cesenatico abbiamo organizzato una bella festa per Halloween».
Lei è mai stata appassionata di ciclismo?
«No, ma le imprese e le vicende di Pantani le abbiamo seguite tutti, fanno parte della nostra storia».
Nel film tv, come in «Ricordati di me», la pellicola di Gabriele Muccino che l'ha lanciata, si destreggia abilmente su un cubo. Un personaggio, quello della velina cubista, che nella sua carriera ritorna.
«Già, anche altri me lo hanno fatto notare. Ma io credo che i due personaggi siano totalmente diversi. La ragazza del film di Muccino proveniva da una famiglia agiata, che non aveva bisogno di lavorare, ma attraverso le sue esibizioni voleva affermarsi in un certo mondo. Christina, invece, faceva la cubista per guadagnarsi da vivere, per pagarsi gli studi. Tanto che, come si racconta anche nel film, non faceva parte di quell'ambiente. Finito il suo lavoro non frequentava i clienti dei locali, ma se ne andava a dormire da sola a casa sua. L'esatto contrario del personaggio creato da Muccino. Christina era una ragazza seria, innamorata del suo Pirata. Non voleva lasciarlo. Ha cercato in tutti i modi di salvarlo. Ma, sapendo che il rischio era di venir travolta, lo lascia al suo destino».
Anche lei si è da poco separata da suo marito, Federico Scardamaglia.
«Non farei paragoni. Ogni storia d'amore è diversa dall'altra. Io ho due splendidi figli ai quali dedico, felicemente ricambiata, tutte le mie energie. Siamo persone diverse, con storie diverse».
È per stare con i suoi figli che lei continua a lavorare poco, al massimo due film all'anno?
«Sì, per me Francesco e Gabriele sono molto importanti. Io ho bisogno di loro, loro hanno bisogno di me. Non ho mai voluto tate o baby sitter. Non mi voglio perdere neanche un momento della loro crescita».
E come è Nicoletta Romanoff fuori dal set?
«Una donna di casa qualunque, che si sveglia presto, prepara la colazione ai figli, li accompagna a scuola, li va a riprendere, tiene pulita la sua casa. Mi piace che ci siano sempre fiori freschi, che sia in ordine, che rispecchi la mia personalità. Preferisco ricevere gli amici a casa piuttosto che fare vita mondana nei locali di tendenza».
In questo suo mondo, come si colloca Giorgio Pasotti, il suo compagno?
«È anche lui al centro della mia vita. In questo momento è a casa con mio figlio piccolo che ha la febbre. È adorabile con i ragazzi. Senza nulla togliere al loro padre, per loro Giorgio è diventata una figura importante, di riferimento. Se fosse qui direbbe che è stato tutto grazie alla mia testardaggine. E può essere anche vero. Quando l'ho conosciuto ho capito presto che era la persona giusta per me e ho voluto subito dividere con lui la mia vita. Ho rischiato. Ma ora sono contenta che sia andata così».
A quando un figlio vostro?
«Se e quando arriverà, sarà sempre ben accetto».
Pensate di sposarvi?
«Io credo fermamente nel matrimonio. Non è la coreografia del vestito bianco che mi interessa, ovviamente. Trovo invece molto affascinante quando un uomo ti presenta dicendo: questa è mia moglie. Ma per affrontare questo passo bisogna essere pronti a fare sacrifici. Non intendo rinunce. In sacrifici io sottointendo la parola sacro, la sacralità del matrimonio. Bisogna esserne convinti».
Recentemente sui giornali rosa sono uscite delle foto di Giorgio in compagnia di altre donne, altre attrici. Come ha reagito?
«Il gossip fa parte del nostro lavoro. Grazie a Dio non siamo solo due attori che stanno insieme, ma due persone che si amano. Io sono gelosissima. Lui di più. Ma questo non ci impedisce di essere sereni. Io sono gelosa del tempo che non dedica a me. E lui lo sa: quando è lontano per lavoro, se mi sente triste non esita un attimo. Prende il primo aereo e mi raggiunge. Se vedo Giorgio ritratto in una foto su un giornale di pettegolezzi, soffro per lui, per il fatto che è stato messo in cattiva luce. Questo è il nostro modo di amare. Per il nostro futuro pensiamo di dedicarci alla scrittura di soggetti, magari anche alla regia o alla produzione di film. Potrebbe anche essere un modo elegante per sottrarci alla morbosa corsa del gossip».

ELIPIOVEX
00venerdì 2 febbraio 2007 22:17
Re:

Scritto da: (Rosy) 02/02/2007 17.04
Michela, lunedì che si guarda? Pantani o nati ieri? [SM=x988247]



non so se riuscirò a guardare il Pirata.
Effettivamente la prima frase di uno degli articoli che hai postata è vera: il baratro è iniziato a Madonna di Campiglio.
Ma non solo per Pantani. A Madonna di Campiglio è iniziato il baratro per il ciclismo pulito. E lo stesso giorno ho iniziato a disaffezionarmi a questo sport.
Non so se riuscirò a rivivere questa storia, così presto.
Come ho già detto qualche altra volta, per me dovrebbero far passare almeno 5 anni dalla morte di una persona prima di proporre una fiction televisiva.
Nel caso di Pantani per me dovranno passare molti anni prima che possa vivere serenamente quel ricordo.
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