[Miniserie] L'inchiesta

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(Rosy)
00venerdì 30 marzo 2007 17:02
Volevo fare il gladiatore, invece ho trovato la fede
Daniele Liotti nel film tv «L’inchiesta» (il 2 e il 3 aprile su Raiuno) è Tauro, un valoroso soldato romano inviato dall'imperatore Tiberio in Giudea per indagare sulla morte di Gesù: «Il mio personaggio è un uomo giusto e duro» anticipa a Sorrisi l'attore. «Crede solo nella ragione: oggi potrebbe essere un agente dei RIS. Ma alla fine, grazie all'amore, si avvicina a Dio»
30/3/2007
di Patrizia Guariento


Una Gerusalemme dilaniata da fazioni di fanatici violenti disposti a tutto, anche ad attacchi suicidi, pur di rovesciare un dominio straniero; donne uccise in piazza con la lapidazione perché colpevoli di aver leso l’onore della famiglia. Ha più di un punto d’aggancio con l’attualità il film tv «L’inchiesta», proposto nella settimana santa da Raiuno. Remake di un film famoso degli Anni 80, racconta la storia della morte di Gesù come un’indagine poliziesca: l’imperatore Tiberio, turbato dalle voci che un rabbino ebreo fosse sfuggito alla condanna a morte, insospettito dal sepolcro vuoto e dalla scomparsa del cadavere, affida al suo tribuno più fidato la missione di recarsi in Giudea per accertare la verità.
Miscela di poliziesco e di film d’azione alla «Gladiatore», appoggiata dal mondo cattolico, la fiction, oltre che per la tv è stata preparata pure per il cinema: da aprile, una versione di 120 minuti verrà distribuita anche nelle sale di Spagna e Stati Uniti. Quando lo raggiungiamo, il protagonista Daniele Liotti, già visto ne «Il bell’Antonio» e «La guerra sulle montagne», è appunto in partenza per Madrid e Los Angeles, dove presenzierà nelle serate inaugurali.
Vuole anticipare anche ai lettori di Sorrisi il film tv «L’inchiesta»?
«La storia è avvincente: Tauro è un soldato, un guerriero a cui viene affidata un’indagine nell’ambiente estremamente difficile e ostile della Gerusalemme del 34 d. C. È un uomo giusto ma duro, che crede solo alla ragione. Oggi sarebbe un agente dei RIS o qualcosa di simile. Quando Pilato gli consegna un cadavere dicendogli che è quello di Gesù, Tauro lo mette su un tavolo e pratica un’autopsia con la quale scopre la frode».
Che effetto le ha fatto quando gliel’hanno proposto?
«Quando mi hanno scelto ero entusiasta, onorato e preoccupato. È un protagonista che sta in scena dall’inizio alla fine. E che, man mano, si trasforma, ma non come Saulo, con il cielo che si squarcia all’improvviso, ma attraverso una serie di fasi. Ora che è tutto finito sono orgoglioso. E i motivi di soddisfazione sono tanti. Cerco di andare con ordine. La coesione finale del lavoro, risultato di un abbraccio appassionato tra attori, regista e sceneggiatura. La particolare comunità d’intenti tra me e Giulio Base, il regista. La dimensione convincente della storia, con il giusto afflato di misticismo, ma senza appiattimento su un’immaginetta sacra».
La vicenda religiosa è l’architrave di tutto l’impianto.
«È la storia della formazione di un cristiano. Evidentemente i temi dell’incontro, all’inizio dello scontro, tra razionalità e misticismo sono la base della trama».
Due temi che dominano anche il suo personaggio, il tribuno Tito Valerio Tauro.
«Certo, il Tauro che arriva dalle remote province ai confini con la Germania, dove è stato esiliato a combattere e tenere a bada i rivoltosi locali, è un guerriero che crede soltanto nella forza e nella ragione, emanazione diretta di quell’impero romano che basava su queste stesse leve il suo potere. Tauro è un eroe e un campione di quel mondo: ne scoprirà anche i limiti».
Le scene iniziali dove il tribuno affronta a cavallo i Goti e governa la legione Gemina ricordano il film «Il gladiatore».
«Impossibile non ripensarci. Perché no? Non dovevano essere proprio così il mondo dell’antica Roma, le lotte con i barbari alla periferia dell’impero, l’aspetto fiero dei suoi soldati? La sua brutalità, anche?».
Qualche punto di maggiore contatto?
(sorride) «Nella scena in cui mi presento dicendo sono Tito Valerio Tauro, non ho potuto fare a meno di sentirmi risuonare nelle orecchie Russell Crowe che si presenta nello stesso modo, togliendosi l’elmo e dicendo il suo nome».
La conversione di Tauro arriva con l’innamoramento per un ragazza di grande bellezza.
«Io penso che sia ancora più convincente vedere aprirsi il cuore di un uomo non attraverso una chiamata rarefatta, trascendente, ma attraverso un sentimento umano che si dimostra capace di riscaldare la vita sua e degli altri, in una dimensione di speranza, di sicurezza mai provata prima».
Quali sono state le scene più difficili per lei da girare?
«Sicuramente questa parte sentimentale, psicologica. Le scene a cavallo, i combattimenti che pure ci lasciavano la sera con ematomi ed escoriazioni erano, al confronto, puro divertimento. Per converso, le scene di dolore, di pianto, supplica, angoscia sono state difficili e alcune difficilissime».
C’è una quantità di scene d’azione in cui si batte con la spada, media e grande: ha dovuto sottoporsi a un training particolare?
«Io e gli altri abbiamo fatto una o due ore di prove e allenamento ogni giorno. I combattimenti come vedrete hanno bisogno di essere preparati con cura: basta mancare una schivata, un affondo e cadi da cavallo o prendi un colpo. A me è capitata sia l’una sia l’altra cosa, ho preso molte botte e vedrete quanto è sensibile il mio cavallo, un animale bello e impegnativo che mi sono scelto io stesso: si chiama Hurri, diminutivo di Hurricane».
Il film è stato girato in inglese, lei lo sapeva già?
«Non abbastanza bene da recitarlo. Per cui ho studiato ossessivamente mattina, mezzogiorno e sera la mia parte. Sul set c’era Todd Carter, un dialogue coach professionista. La bellezza di questo film è il cast di grandi attori internazionali: sapevamo fin dall’inizio che doveva essere recitato da tutti in inglese, per cui non c’è altro da fare che ripetere allo sfinimento ogni battuta. Alla fine sono stato anche a Los Angeles, dove comunque, come previsto, ci hanno doppiati, ma dove ho avuto la soddisfazione di sentirmi riconoscere dal doppiatore madrelingua che l’accento italiano era lieve e con i tempi giusti».
La cosa che le resterà di questo film?
«L’amicizia per Giulio Base, con il quale c’è stata un’empatia formidabile, e per Dolph Lundgren, con il quale ci siamo capiti poco alla volta: lui è un superprofessionista, all’inizio ognuno stava sulle sue, poi ho trovato una persona di grande gentilezza e semplicità».
ELIPIOVEX
00venerdì 30 marzo 2007 20:35
Io avevo visto il film originale quello citato nell'articolo da cui questa mini serie si ispira e sinceramente devo dire che mi ha deluso un pochettino. Credo che ci butterò un occhio anche se lunedì dovrei rinunciare a quel kolossal che è Carabinieri [SM=x988248]
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