«Mauro Belli è morto, ma non mortissimo»
da Panorama
Resuscitare il poliziotto tv che lo ha rilanciato? Ci vorrebbero un'ottima idea o una camionata di soldi. Confessioni genuine di un quasi boxeur che tra un film e l'altro ha aperto due trattorie
«Mauro Belli per me è bell'e che morto». La voce di Ricky Memphis è quanto mai ferma e convinta. «Sì, ma non è proprio mortissimo...» replica Pietro Valsecchi, produttore di Distretto di polizia. Allora, mai dire mai? «Certo, se ci fosse un'idea davvero geniale, ci potrei pensare, ma al personaggio devo rispetto» apre uno spiraglio l'attore. «Spesso è solo una questione di quattrini» rincara il produttore. «Oddio, se Valsecchi arriva con due camion di soldi... Ma devono essere proprio tanti tanti, perché non sono mai solo i quattrini a farmi decidere su un personaggio».
Botta e risposta a distanza fra il poliziotto del Decimo Tuscolano, la cui scomparsa ha gettato nello sconforto i fan del telefilm, e il produttore che sta covando di riportarlo in vita sul video. «Intanto nella settima serie Belli apparirà in sogno a Vittoria (l'attrice Daniela Morozzi, ndr) che inizierà a chiedersi se è proprio morto» anticipa Valsecchi.
Comunque sia, Memphis, uscito dalla divisa di Belli, rientra in quella di un altro poliziotto in Milano-Palermo il ritorno, sequel, 11 anni dopo, di quel Palermo-Milano solo andata che al cinema incassò 5 miliardi di lire e regalò ai produttori Roberto Di Girolamo e Pietro Innocenzi il David di Donatello. «Lo faccio soltanto perché è un ritorno, anche se in quel periodo mi sono divertito tantissimo non avrei lasciato un poliziotto per farne un altro nuovo» chiarisce Memphis. «Sarà un film come lo vorrà il regista, Claudio Fragasso, molta azione e bellissima sceneggiatura».
Ne ha fatta di strada il poeta metropolitano di fine anni Ottanta sul palco del Maurizio Costanzo show, e ancor più il ragazzo che a 13 anni faceva il manovale e il pasticciere, allenandosi sul ring nella speranza di un futuro da boxeur, come vuole la più tradizionale iconografia del riscatto. Recitazione impastata d'istinto e sensibilità popolare, duttilità e forte personalità nell'approccio ai personaggi, da Ultrà in poi attore feticcio di Ricky Tognazzi, che lo volle anche in La scorta e Vite strozzate, negli anni Novanta ha interpretato altri film d'autore come Pugni di rabbia di Claudio Risi e Il branco del fratello Marco Risi.
Una carriera costruita lungo le coordinate di un cinema di impegno civile.
Sì, ma è stato un caso, forse perché scelgo sempre il copione più nobile, non perché è nobile, ma perché ha più senso, più significato. E non faccio mai distinzione se recito per il cinema o la tv, mi interessa il personaggio.
Che spesso è ruvido come appare lei.
E invece è molta, molta timidezza. E insicurezza. Che viene dal mio percorso di vita. E siccome porto tanto di me nei personaggi... Io vado d'istinto, meno ci penso a un personaggio e meglio mi viene.
Adesso che è libero dalla tv, con chi le piacerebbe lavorare: Paolo Virzì, Giuseppe Tornatore, Paolo Sorrentino?
Tornatore, non per un discorso tecnico, lo dico da spettatore, ma non succederà mai. E poi, per allargarmi, Martin Scorsese, Robert De Niro e Al Pacino: sembra banale dirlo, ma sono loro che mi hanno fatto venire voglia di fare l'attore.
La fiction è accusata di essere troppo «centromeridionalizzata»: la tv che ha unito l'Italia rischia di dividerla?
Il rischio c'è se chi guarda ha qualche pregiudizio: Roma e Napoli sono da sempre nella storia del cinema. Però facendo Distretto ho preso coscienza che, anche se mi appartengono, non dovevo ostentare tratti del personaggio troppo legati alla romanità e ho smussato Belli quando rischiava di ricalcare alcuni stereotipi.
Si professa cattolico praticante: si è sentito offeso dalla satira sul Papa e sul suo segretario, padre Georg?
Sì, ho provato molto fastidio. Per me il Papa è davvero scelto dallo Spirito Santo, è un padre spirituale. A rischio di sembrare bacchettone, devo dire che mi disturba non tanto la satira, ma l'anticlericalismo ostentato che c'è dietro: più ci si dichiara atei e più si parla di Cristo. Ma lasciatelo stare!
È sempre un divoratore di tv?
Vedo tutto, meno i film. Guardo specialmente programmi di storia, sulla Seconda guerra mondiale e quelli di Giovanni Minoli. I reality? Confesso che La pupa e il secchione mi provocava un fastidio fisico.
Fuga dalla tv fino a quando?
Ero stanco di fare lo stesso personaggio dieci mesi all'anno, da anni. Spero di tornare a farne di tv e tanta, ma non più lunghe serialità. Anzi stiamo scrivendo una commedia, non posso proprio anticipare di più: ma sarà una botta secca e basta. E al cinema dopo Milano-Palermo sarò un mezzo criminale che si redimerà.
Adesso Ricky è concentrato sulla data del 27 novembre, quando al quartiere Prati di Roma inaugurerà Né arte né parte: «È la seconda trattoria, dopo quella al Testaccio, che apro con Simone Corrente, collega e amico. Non sarà un posto chic, ma il pesce garantisco che sarà di livello primario. Per fortuna che so a chi farlo gestire: aprire un ristorante è impegnativo da morire, altro che recitare».
MICHELA